ARCHITYPES 1-4

VOLUME 1 ISSUE 4 IT ESTRATTO

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INDICE EDITORIALE A passo lento 4 TEMI La riscoperta della lentezza Cambiare radicalmente ritmo per tornare a prendersi cura di sé e del mondo 6 INTERVISTA L’architettura per un mondo più umano Costruire meno, costruire meglio: appunti per una sostenibilità ambientale e sociale 16 TEMI Progettare edifici, costruire relazioni Flessibile, adattabile ed ecocompatibile: la nuova architettura va piano e lontano 28 ESTRATTO

VISUALE Resort Waterrijk Oesterdam In Olanda, un lembo di terra strappato al mare si trasforma in un’oasi di benessere 36 DOSSIER TECNICO Davines Village L’archetipo architettonico del villaggio rurale si declina in versione contemporanea nella sede del Gruppo Davines a Parma 48 NUOVI PROGETTI Progetto fedele Chiesa della Beata Vergine del Rosario, Lamezia Terme (CZ), Italia 58 Il design che fa scuola Scuola primaria Rita Levi Montalcini, Porto Potenza Picena (MC), Italia 60 ESTRATTO

L’ARCHITETTURA PER UN MONDO PIÙ UMANO Innovatore e sperimentatore infaticabile, Ian Ritchie può essere a buon diritto definito un antesignano dell’architettura sostenibile: già negli anni Ottanta progettava residenze passive a basso costo alimentate a energia solare, mentre nel 1993 ha disegnato un centro culturale a consumo energetico zero nella cittadina francese di Terrasson Lavilledieu. In questa intervista presenta la sua visione del lavoro di architetto, discute le principali questioni della progettazione contemporanea e ci rivela il suo sogno proibito: abbattere le barriere che separano architetti e ingegneri e introdurre nella formazione di entrambi lo studio delle scienze sociali, indispensabili per immaginare paesaggi urbani migliori. Ian Ritchie è uno dei maggiori architetti britannici in attività. Nel 1981 apre il suo studio, ritchie*studio, e co-fonda con Peter Rice e Martin Francis la società di progettazione ingegneristica Rice Francis Ritchie, che sarà protagonista di interventi iconici come le facciate bioclimatiche della Cité des Sciences et de l’Industrie e il progetto delle piramidi del Louvre. Consulente e conferenziere internazionale, dal 1998 è membro della Royal Academy e dal 2004 professore alla Royal Academy School; fa parte inoltre dell’Akademie der Künste di Berlino. Nel 2000 ha ricevuto il titolo di Commander of the Most Excellent Order of the British Empire (CBE). Costruire meno, costruire meglio: appunti per una sostenibilità ambientale e sociale 16 ESTRATTO

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Pagina precedente: la celebre piramide rovesciata alta sette metri che illumina l’entrata del Museo del Louvre, a Parigi. In questa pagina: la spettacolare Angela Burgess Recital Hall della Royal Academy of Music di Londra. Foto di Adam Scott. ARCHITYPES 18 ESTRATTO

AT: L’architetturamodella le nostre emozioni e i nostri comportamenti a livello individuale e collettivo. Crede che sia anche in grado di cambiare il nostro pianeta su scala globale? IR: Siamo i primi animali sul pianeta a riuscire a immaginare e creare nuovi ambienti che, a loro volta, ci plasmano e si evolvono mentre noi stessi ci evolviamo. L’architettura può quindi essere definita come un ciclo di apprendimento neuroprogettuale che ci influenza a breve termine come individui e a lungo termine come società. Tuttavia, è improbabile che l’architettura riesca a stimolare la nostra evoluzione a tal punto da gestire le incertezze legate al cambiamento climatico e alla biosfera. Ci vorrebbe troppo tempo, e i cambiamenti sociali che devono avvenire sono troppo profondi. La strategia migliore per limitare i danni all’ambiente — e lo sappiamo da decenni — è ridurre le dimensioni della popolazione umana e consumare meno. Ma, come architetti, ci siamo trovati, fin dall’inizio del ventesimo secolo, di fronte a un muro; tutto ciò che facciamo è valutato sulla base di un’unica domanda: “Attirerà il consumatore?”. Dobbiamo liberarcene, se vogliamo un mondo più umano. AT: Che cosa significa impiegare un “design basato sull’intelligenza anziché sullo stile”? IR: Penso che stia tutto nella differenza tra il semplice guardare e l’osservare. Immaginate di guardare un torrente poco profondo, di scattare una foto, di postarla su Instagram e di passare oltre. E poi immaginate di osservarlo per tutto il pomeriggio mentre pescate, notando le increspature, le erbacce che ondeggiano nella corrente, la luce che danza sulle pietre sommerse. Se state osservando, e non solo guardando, vi accorgerete di come l’acqua si va a incanalare fra le pietre e dove si nascondono le trote, e così saprete dove gettare l’esca per procurarvi la cena. Lo stile è presentazione, identità, marketing — una moda passeggera. Il design intelligente, invece, ha a che fare con una maggiore comprensione; offre senso, profondità e soluzioni più durature per qualsiasi iniziativa. La conoscenza è il risultato di un apprendimento continuo: rispetto al cliente, al sito o a nuovi materiali e tecniche. E poi ci sono le grandi questioni legate al clima e all’energia, l’analisi e le previsioni per il futuro. Al centro della mia architettura c’è la conoscenza, ed è per questo che il nostro studio effettua lunghe ricerche per ogni progetto. Non è un monologo ma un dialogo, nel quale l’architettura è risposta e non solo affermazione, in cui sono le idee più che l’ideologia a comandare, e oltre alla bellezza c’è anche l’intelligenza. Tuttavia, non esiste unmetodo universale per raggiungere un simile obiettivo, ed è per questo che il nostro studio non si lascia intrappolare da un solo stile. 19 l’architettura per un mondo più umano ESTRATTO

AT: Inunaprecedente intervista, si è presentato come “architetto, un po’ ingegnere, un po’ poeta, un po’ artista”. Perché le competenze umanistiche sono così importanti nel lavoro di un architetto? IR: Gli architetti si mettono innanzitutto “al servizio” di qualcosa. Progettiamo per la società, che oggi significa rispettare la nostra biosfera condivisa. Comprendere le esigenze umane e dell’ambiente, con padronanza tecnica dei materiali, consente di ottenere una bella sintesi architettonica. Molti ritengono che i miei studi abbiano aperto la strada alla fusione di questi campi per produrre con successo un’architettura sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale e culturale, e che spesso, di conseguenza, abbiano guidato l’innovazione. Lo sviluppo di competenze umanistiche è essenziale per contribuire alla realizzazione dell’architettura che io e i miei colleghi cerchiamo di ottenere. AT: Sappiamo che le piace scrivere poesie prima di iniziare a lavorare a un nuovo progetto. Quali altre attività prevede il suo processo creativo? IR: Collaborare con persone che non sono architetti è una fonte di ispirazione straordinariamente preziosa. In qualità di membro della Royal Academy of Arts di Londra e dell’Akademie der Künste di Berlino, frequento molti artisti eccezionali. Ho il privilegio di realizzare acqueforti nello studio di Norman Ackroyd, dove posso dare vita, attraverso quella che lui ha definito “calligrafia architettonica”, agli aARCHITYPES 20 ESTRATTO

dattamenti visuali dei miei scritti. Nello studio di Barbara Rae, a Edimburgo, posso sbizzarrirmi a celebrare il colore realizzandomonotipi e liberando l’immaginazione. Poi c’è il modo in cui sviluppo i concept dei progetti, che ricalca il funzionamento del mio cervello. L’ho illustrato in due diagrammi. La nozione di poiesis di Platone implica, nel processo collaborativo di creazione del bello, un movimento che va oltre il normale ciclo di nascita e decadenza. Nel passaggio dal non-essere all’essere, c’è l’opportunità di raggiungere l’estasi attraverso l’innovazione del pensiero e/o della tecnica. AT: L’architettura sostenibile e i processi edilizi virtuosi sono considerati fondamentali, ma spesso sembrano alla portata solo di una piccola parte della popolazione, soprattutto in unmomento di crisi come quello attuale. Ritiene che sia vero? E se sì, come possiamo cambiare le cose? IR: Non sono sicuro che sia chiaro a tutti cosa si intende per edilizia virtuosa. Per molti anni si è pensato che per essere sostenibili bastasse piazzare un po’ di legno sulla facciata degli edifici. Si tratta di un approccio ingenuo e disonesto. Ricoprire le superfici con “pareti verdi”, che si tratti di muschio o di piante rampicanti, o collocare alberi sugli edifici è altrettanto insostenibile. Queste cose possono migliorare la qualità dell’aria circostante, creare un’atmosfera piacevole per gli occupanti o per coloro che passano di lì, ma in genere richiedono acqua, nutrienti, drenaggio, capacità In queste pagine: due schizzi, disegnati a mano da Ian Ritchie in persona, illustrano il suo processo creativo e il suo pensiero filosofico. Pagine seguenti: Levitas — La terza montagna, opera di Ian Ritchie, presso Arte Sella, museo a cielo aperto in Trentino. Foto di Giacomo Bianchi. 21 l’architettura per un mondo più umano ESTRATTO

Il mio unico obiettivo quando progetto una casa è che abbia per il proprietario un valore diverso da quello che definirei io. Posso comporre gli spazi e immaginare la luce che muta al loro interno, nonché immaginare le sue qualità acustiche e tattili, ma è il proprietario a dover dettare il colore. Il mio concetto di casa è molto diverso. Ho scritto questa poesia anni fa, e l’ho risistemata qui ora. ... A shadow cast is home. Under the sun, lying on the ground, the smell of the earth, song of a bird, a fleeting cloud. This is my real home, my spiritual sense of being breathes slowly, deeply. My architecture is for when it rains, when the wind blows, when darkness invades my heart, when I have been on the move and am not allowed to rest with my shadow. If I have the sun and if the night is warm, I am content in the grass. To find my shadow, my delight in my architecture, my home 22 ESTRATTO

is to allow my soul to meet my momentarily still fleeting self. This is my home, my sanctuary in a hurry-hurry, screen-screen, rough-tough world. This is where my shadow and I shelter, inhabit, with my habits. Perhaps my habits are the expressions of me, my freedom to repeat them, to know them, to live with them an essential part of my being and my identity. Perhaps I inhabit my habits rather than my architecture. Perhaps my habits are simply me building memories — ... Who will remember my habits? When we leave home, we have emigrated, and we are changed forever when we migrate. We have decided to leave, we have left, and even if we do return it is to the place we left, not the home we knew, not home anymore. © IAN RITCHIE, 2005 23 ESTRATTO

strutturale aggiuntiva e manutenzione. Le vere pratiche di edilizia sostenibile si possono trovare tra le popolazioni indigene, che utilizzano materiali locali e costruiscono strutture tenendo conto del clima, del territorio e dello spazio in cui si trovano. Gli architetti devono abbandonare l’approccio uguale-per-tutti — monumenti al loro ego con l’etichetta di “green” —e passare a un’architettura davvero flessibile e a basso impatto, iniziando a pensare in modo più locale e regionale. AT: Se il modo migliore di costruire sostenibile è non costruire affatto, come possiamo invertire la tendenza mondiale a edificare sempre di più, soprattutto quando le città sono piene di immobili vuoti e abbandonati che non vengono utilizzati? Ha qualche proposta su come valorizzare il patrimonio immobiliare esistente, bilanciando le esigenze delle persone con il costo e il dispendio di risorse? IR: Cambiare per se stessi non è di solito un problema per la maggior parte delle persone. Compro un’auto o uno smartphone? Perfetto! Fare cambiamenti nell’interesse degli altri è molto più difficile. E questo è uno dei problemi fondamentali della società post-industriale. Se si propongono nuove abitazioni in un villaggio, la gente di solito si oppone perché il progetto è al di fuori del suo controllo immediato e cambierà la sua vita: nuovi edifici significano più persone. Ma nuovo può anche significare cambiamento, rinnovamento, adattamento. Il riutilizzo di vecchi edifici è una scelta intelligente e può essere presentato come una forma alternativa di innovazione. L’energia che le vecchie costruzioni racchiudono ci impone di riflettere a fondo sull’opportunità di riconvertirle. Se si sceglie di farlo, ci si troverà di fronte a sfide importanti, non soltanto sul piano dell’analisi dei benefici economici e delle riduzioni delle emissioni. Per instaurare un cambiamento di paradigma nella riconversione ed estensione della vita di vecchi edifici è necessario dotarsi di materiali leggeri e sicuri, tra cui il vetro, che ottimizzino le prestazioni termiche senza imporre carichi aggiuntivi alle fondamenta, e valutare se le infrastrutture esistenti possano accogliere le destinazioni d’uso previste. AT: Cosa ne pensa delle tendenze dello slow living e della slow architecture? IR: Tutto è cominciato a Roma, con il movimento slow food per difendere le tradizioni alimentari locali e preservare il rispetto per la regionalità, la qualità e la sostenibilità, nonché educare i consumatori sui rischi delle monocolture. Il termine slow suggerisce una mentalità diversa. Gli esseri umani si sono evoluti per prosperare in piccoli gruppi sociali e in ambienti naturali. La nostra predisposizione genetica e neurologica a una vita di questo tipo e all’equilibrio emotivo che ne deriva è cambiata poco, nonostante la nostra straordinaria capacità di adattamento. I movimenti slow living e slow architecture mirano a reintegrare questi stili di vita nelle monoculture architettoniche e consumistiche che influenzano ogni aspetto della nostra esistenza corrente. L’architettura basata su questa filosofia non sarà un’incarnazione dell’ego dell’architetto e del pensiero economico discriminatorio, Il Susie Sainsbury Theatre presso la Royal Academy of Music. Costruire un nuovo teatro entro il perimetro del precedente è stato un processo molto delicato, poiché le attrezzature necessarie a mettere in scena sia esecuzioni musicali classiche sia l’opera moderna dovevano convivere in uno spazio ristretto. L’attento coordinamento dei lavori da parte del team di architetti ha permesso di soddisfare tutti i requisiti — estetici, strutturali, di illuminazione, acustici, meccanici, elettrici e di sicurezza. Foto di Adam Scott. ARCHITYPES 24 ESTRATTO

ma di una consapevolezza olistica dello spazio, dell’ambiente e della natura, affinché diventino luoghi completati dagli esseri umani; spazi architettonici e urbani davvero umani che risuonino con il nostro “essere”, in sintonia con i nostri bisogni —opere di architettura reali. AT: Qual è, o quale dovrebbe essere, il ruolo degli architetti? Quali sono le loro responsabilità professionali, sociali ed etiche? IR: Il nostro ruolo e la nostra responsabilità consistono nel progettare ambienti migliori per le persone e per ogni altra forma di vita. Dobbiamo continuare a studiare e applicare le nostre competenze in modo creativo, critico ed etico, con questo obiettivo in mente. La maggior parte degli architetti pensa di fare bene, ma ignora cosa comporta davvero il proprio lavoro. In troppi si concentrano soltanto sui risultati. AT: Come ha detto lei stesso, il suo architetto preferito di tutti i tempi, Mimar Sinān, aveva capito che “è tutta una questione di infrastrutture”. Di quali aggiustamenti pensa abbiano bisogno le nostre infrastrutture? IR: Negli ultimi decenni si è parlato molto di infrastrutture resilienti e di smart cities. Entrambe puntano a gestire le risorse in modo più efficiente e sostenibile, allo scopo di soddisfare i bisogni umani. Per farlo, servono dati in tempo reale e infrastrutture in grado di gestire efficacemente sia la normalità sia la scarsità, ed evitare catastrofi. Col passare del 25 l’architettura per un mondo più umano ESTRATTO

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tempo, questi dati saranno analizzati grazie all’intelligenza artificiale, e stiamo infatti assistendo a una convergenza di sistemi che possono essere gestiti da un’unica entità, pubblica o privata. La maggior parte delle città (e delle nazioni) post-industrializzate scricchiola sotto infrastrutture liquide vecchie: acqua e fognature. Queste devono essere aggiornate e, poiché lamaggior parte dei grandi agglomerati urbani si trova in prossimità di oceani o fiumi, gli investimenti per la prevenzione delle alluvioni diventeranno una priorità, se non lo sono già. Bilanciare il trasporto pubblico e la mobilità individuale richiederà un riadattamento e una riallocazione dello spazio tra gli edifici, come già avviene in molte città. Il Sainsbury Wellcome Centre di Londra è stato progettato per consentire agli scienziati di interagire quotidianamente, incoraggiando conversazioni e collaborazioni. L’edificio ha aperto ufficialmente nel 2016, ed è valso allo studio di Ian Ritchie e agli ingegneri di Arup numerosi riconoscimenti, tra cui il Major Building of the Year ai British Construction Industry Awards. Foto di Adam Scott e Grant Smith. 27 l’architettura per un mondo più umano ESTRATTO

ARCHITYPES Un magazine by Zintek VOLUME 1 ISSUE 4 IT press@zintek.it Copertina Dettaglio di colmo ventilato Davines Village, Parma © Zintek S.r.l. Zintek S.r.l. Via delle Industrie 22 30075 Venezia Porto Marghera +39 041 2901866 www.zintek.it Per informazioni tecniche e commerciali: marketing@zintek.it © 2022 Zintek S.r.l. Non è consentito riprodurre questa pubblicazione, totalmente o in parte, senza l’autorizzazione dell’azienda. ESTRATTO

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WWW.ZINTEK.IT € 5,00 Siamo alla ricerca del tempo perduto. Tempo per meravigliarci, imparare, progettare gli spazi e come abitarli. Proviamo a recuperare il passo lento della natura e immaginiamo un futuro più soddisfacente, pieno, umano. ESTRATTO

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